Che la frana dal monte Toc sarebbe caduta si sapeva da anni. La certezza arrivò nel novembre del 1960 quando uno smottamento di 700.000 m³ si staccò dal lato di sinistra orografica, e comparve molto più in alto una spaccatura a forma di “M” lunga oltre 2 km, ad indicare che una ben più grande massa franosa aveva iniziato a muoversi. Era questione di tempo. Venne realizzato un grosso by pass, quello che serve ancora oggi per scaricare le acque del Vajont a valle della diga, un’opera ritenuta necessaria perché, in caso di caduta, la frana avrebbe letteralmente ostruito il bacino. Venne anche realizzato un modello in scala 1:200 della valle del Vajont per simulare la caduta della frana e stimarne gli effetti. Il professor Ghetti, dopo numerose prove, prese come riferimento quella considerata più severa, che prevedeva la caduta della frana in due parti, con tempi rispettivamente di 60 e 180 secondi e un’onda generata in prossimità della diga dell’altezza di 27 m. A fronte di questa simulazione venne indicata per l’invaso la quota di 700,00 mslm, un livello di assoluta sicurezza anche nell’ipotesi più catastrofica di crollo. Passò il tempo, il Toc continuava a tremare così come continuavano le operazioni di invaso e svaso, che avrebbero condotto l’impianto al collaudo. Quando la situazione fu ritenuta insostenibile si decise di ridurre il livello del serbatoio sino alla quota di sicurezza stabilita con il modello in scala. L’operazione cominciò il 27 settembre 1963. Le condizioni si aggravavano continuamente e l’8 ottobre venne emanato un comunicato urgente di sgombero, divieto di accesso al serbatoio e transito in sponda sinistra e sulla diga di sbarramento. In molti erano pronti con le macchine fotografiche ad immortalare l’evento. Alle ore 22.39 del 9 ottobre 1963 la frana si staccò, con un volume stimato in 260 milioni di m3 e con modalità molto diverse da quelle previste dal professor Ghetti. Scese unica e compatta, con una velocità di 90 km/h e sollevò una massa d’acqua di 50 milioni di m3; una parte risalì il lago con un’onda alta 80 m e l’altra ondata si sollevò sino a Casso, arroccato 250 m più in alto, quindi l’onda passò 170 m sopra la diga devastando il sottostante paese di Longarone e quelli limitrofi. Avvenne così il più grande disastro dell’idraulica, unico nel suo genere per le dinamiche di accadimento, che generò danni materiali incalcolabili e 1910 morti. Un pensiero alle vittime del Vajont, senza dimenticare i superstiti e i sopravvissuti, che il 9 ottobre 1963 hanno dovuto forzatamente iniziare un’altra vita.