1 dicembre 1923: il disastro del GLENO – 2 dicembre 1959: il disastro di MALPASSET
Nel progetto originale la diga del Gleno sarebbe dovuta essere del tipo a gravità e alta 18m ma, in corso d’opera e senza i dovuti accertamenti geologici ed approvazioni del caso, iniziarono i lavori, a cottimo e con materiali di risulta, per l’innalzamento dello sbarramento con una diga a volte multiple di altezza complessiva di 55m, che venne ultimata nell’estate del 1923. Dopo circa quattro mesi dalla sua ultimazione la diga crollò, permettendo a circa 6 Mm3 di acqua contenuta nell’invaso di piombare sui paesi sottostanti, provocando devastazione e la morte di 356 persone accertate. Le principali criticità che hanno caratterizzato la costruzione della diga del Gleno sono state: variante in corso d’opera senza approvazione preventiva; materiali di bassa qualità e mal preparati; insufficiente preparazione delle superfici di fondazione; raggiungimento del massimo invaso in occasione di forti piogge, senza gli adeguati controlli sul comportamento statico richiesti in fase di collaudo; numerosi e copiosi stillicidi in più punti dello sbarramento. Per la costruzione della diga di Malpasset ci si affidò all’Ing. André Coyne, uno dei più quotati progettisti di settore, che realizzò la diga a doppio arco più sottile d’Europa: un “foglio” alto 60 metri, lungo (al coronamento) 222m, spesso 6,8m alla base e 1,5m sulla cima. L’impianto entrò in funzione nell’autunno del 1954 ma non venne mai sottoposto ad un vero e proprio collaudo, il bacino si riempì infatti ai massimi livelli, senza nessun controllo, soltanto a partire da novembre del 1959, a seguito delle piogge torrenziali che caddero in zona. Inoltre sino al 1° dicembre gli scarichi della diga rimasero chiusi per facilitare i lavori di costruzione del ponte autostradale che si stavano svolgendo poco più a valle. Il giorno seguente la diga di Malpasset crollò liberando in poco tempo 50 Mm3 d’acqua, distruggendo i paesi a valle e provocando la morte di 423 persone. Nonostante furono individuate numerose possibili cause di rottura, di natura geologica, strutturale, ma soprattutto gestionale, le vicende processuali si conclusero senza colpevoli in quanto venne stabilito che “la natura aveva preparato una vera trappola e che l’opera fu eseguita secondo le regole dell’arte…”. Due avvenimenti disastrosi, che avrebbero dovuto portare benessere e invece si sono conclusi con la perdita di centinaia di vite umane ed enormi danni materiali. In questi, come in altri casi, la natura non è stata la principale attrice e gli eventi alluvionali che hanno spesso accompagnato questo tipo di episodi non bastano, da soli, a giustificare l’accaduto. Superficialità ed interessi economici sono state le vere cause di questi disastri: varianti in corso d’opera, mancati collaudi e materiali poco adeguati sono alcuni degli elementi chiave che hanno determinato il crollo di queste dighe
Tratto dal libro “Da Molare al Vajont: storie di dighe” Erga edizioni, 2011